26 Aprile 2024
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IL SOGNO DI ZAHRA SHAMS: DIVENTARE ARBITRO DI CALCIO

19-12-2020 12:39 - 2020-2021 CRA News
A cura di Manuela Sciutto

L’Iran, dal 1979, dopo la rivoluzione, è una Repubblica islamica presidenziale teocratica, in cui la legislazione è in parte basata sulla legge islamica, la Shari’a, che prevede ancora oggi, nonostante le continue lotte per la parità tra i sessi, notevoli differenze tra i ruoli, i diritti e i doveri della donna e dell’uomo.
Questa è la storia di una ragazza iraniana di ventinove anni, Zahra Shams, che, per inseguire il suo sogno e per affermare la sua libertà, ha rinunciato alla famiglia, agli affetti più cari e alla sua terra.


- Com’è nata la tua passione per l’arbitraggio?

"Quando ero piccola, invece di guardare i cartoni animati, mi piaceva seguire in televisione le partite di calcio per poter vedere l’arbitro. Ero attratta da questa figura che, quando entrava sul terreno di giuoco, grazie alla sua personalità, riusciva a conquistarsi il rispetto dei calciatori facendo così rispettare le regole. Spesso immaginavo di essere io lì, in campo, ad arbitrare la partita in prima persona.
Purtroppo, nel mio Paese, non mi è stato possibile realizzare questo sogno."


- Come mai non è stato possibile?

"Una quindicina di anni fa, quando avevo l’età per iscrivermi, il corso per diventare arbitro di calcio si svolgeva solo nella capitale, a Teheran, che dista 7-8 ore di macchina dal paese in cui vivevo. All’epoca, le donne non potevano viaggiare da sole perché, oltre ad essere pericoloso, si sarebbero rovinate la reputazione, con ripercussioni anche nei confronti della famiglia di origine. Purtroppo, essendo figlia unica e dovendo mio padre lavorare, non c’era nessuno che mi potesse accompagnare.
Inoltre, anche se fossi riuscita a diventare arbitro, non sarei potuta scendere in campo, in quanto nella mia città non c’erano squadre femminili e a quei tempi, come ancora oggi, le donne non potevano arbitrare gli uomini.
Così, a malincuore, e nonostante le opposizioni dei miei genitori, decisi di iniziare a giocare a calcio."


- Raccontaci di questa esperienza.

"Il calcio femminile era poco praticato e disincentivato.
Nonostante vivessi in una grande città, non c’era una squadra di calcio femminile e, a livello agonistico, era praticato solo nella capitale. Così, organizzandomi con le mie amiche, abbiamo iniziato a giocare tra di noi. Solo dopo due anni siamo riuscite ad avere una squadra di calcio ufficiale, prima a 5 poi ad 11, riuscendo ad andare a disputare le partite in tutto il Paese. La difficoltà più grande che abbiamo incontrato è stata nel reperire gli sponsor in quanto gli uomini non potevano andare a vedere le partite femminili ed erano poche le donne che andavano allo stadio.
Nonostante fossi arrivata a giocare nella League femminile, corrispondente alla Serie A italiana, non ero contenta: io volevo arbitrare."


- Come mai hai smesso di giocare a calcio?

"Al termine di una partita, mentre stavamo tornando a casa con la squadra, abbiamo avuto un incidente molto grave in conseguenza del quale mi sono rotta cinque vertebre. Avevo 21 anni. In un attimo si sono infranti tutti i miei sogni.
Il percorso di riabilitazione è stato lungo. Dopo un anno sono riuscita a camminare e solo dopo due a correre. Ormai, l’attività calcistica mi era preclusa, ma nonostante i medici ritenessero che potessi arbitrare, in Iran mi fu impedito adducendo come scusa le mie condizioni fisiche. L’unica possibilità che avevo per rimanere nel mondo del calcio era quella di ricoprire il ruolo di dirigente. Così, ho formato una squadra di Serie B femminile, che sono riuscita a portare in Serie A. Dopo due anni, ho deciso di lasciare per sempre il mondo del calcio perché per me era una sofferenza vedere gli altri giocare e non poter arbitrare."


- Perché hai deciso di venire in Italia?

"Convinta del fatto che in Iran mi fosse preclusa la possibilità di arbitrare in quanto donna e non per le mie condizioni di salute, ho deciso di venire in Italia, un Paese che garantisce pari opportunità. Ho scelto l’Italia perché ritengo che sia il Paese più bello al mondo, ricco di storia, cultura, arte, tradizioni, con un patrimonio paesaggistico inestimabile.
Per noi ragazze iraniane, in particolare per chi non è sposata e viaggia da sola, è difficile uscire dall’Iran. Il modo più semplice, che non comporta conseguenze, è quello di ottenere il visto per motivi di studio. Così, dopo essermi laureata in economia contabile, sono venuta a studiare in Italia."


- Oggi sei riuscita a realizzare il tuo sogno: diventare arbitro di calcio. Raccontaci come sei entrata a far parte della Sezione di Chiavari.

"Dopo due anni che vivevo in Italia, grazie alle informazioni ricevute da un’amica, ho contattato la Sezione di Chiavari. Nel momento in cui il Presidente Piero Garilli mi ha detto che potevo iscrivermi al corso, quello è stato il giorno più bello della mia vita. A lui va la mia più profonda riconoscenza per avermi dato la possibilità di realizzare il mio sogno.
Il Presidente e tutti gli associati da subito mi hanno accolto con grande affetto, per me sono diventati una nuova famiglia, un team di persone così affiatato ed autentico, che mi fa sentire a casa."


- In questi anni sei ritornata nel tuo Paese?

"Sono ritornata in Iran diverse volte, ma un anno fa, quando sarei dovuta ripartire per l’Italia, le autorità iraniane me lo volevano impedire. Alla fine ci sono riuscita, ma sul passaporto è stato annotato che quando rientrerò nuovamente nel Paese dovrò presentarmi al comando di polizia. Non mi sono state date spiegazioni in merito, però personalmente ritengo che ciò sia la conseguenza della mancanza di utilizzo del velo in Italia: sul mio profilo Instagram ho infatti pubblicato diverse fotografie mentre arbitravo senza velo gli uomini. Per le donne iraniane ne è obbligatorio l’utilizzo in pubblico, pena la reclusione. Pertanto ho paura e non credo che farò più ritorno nel mio Paese."


- Cosa ti piace dell’arbitraggio?

"Io amo arbitrare. Ogni volta che scendo in campo, oltre ad essere una sfida con me stessa, è una rivincita sia personale, in quanto il mio Paese mi ha precluso la possibilità di realizzare il mio sogno, sia collettiva, per tutte le donne iraniane, a cui è stato impedito, se non ostacolato, lo svolgimento di questa attività, la quale, anche quando viene praticata è limitata soltanto all’ambito femminile.
Quando indosso la divisa ed arbitro partite maschili, nessuno mi discrimina per essere una donna, in quanto le donne possiedono le stesse capacità degli uomini."


- Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

"Ho iniziato come arbitro di calcio a 11, in seguito ho provato il ruolo di assistente arbitrale, ma preferisco dirigere in prima persona la partita, pertanto da quest’anno sono arbitro di Calcio a 5. Mi ritengo una ragazza molto ambiziosa e spero, con la determinazione e con la costanza, di raggiungere il livello nazionale."



Fonte: Rivista “l’Arbitro” n. 4-2020 p. 34-35.

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